Nel 1776 l’abate Giuseppe Carletti diede alle stampe il volume de Le antiche camere delle Terme di Tito e le loro pitture, offrendo una ricognizione accurata sopra alcuni ambienti sotterranei rinvenuti nella zona dell’Esquilino, nei pressi del Colosseo. Questa pubblicazione era intesa come parte di un più vasto ed articolato progetto che era stato concepito grazie all’iniziativa dell’editore ed antiquario romano Ludovico Mirri. Sua intenzione era quella di restituire alla storia e all’umanità ciò che il tempo aveva loro sottratto: presso la vigna Lauretti-Ceci in via Labicana, sul colle Esquilino, erano state rinvenute alcune grandi stanze dipinte che, pur appartenendo al grande complesso della Domus Aurea neroniana, da tempo erano state associate alle soprastanti Terme di Tito. Sui soffitti e sulla fascia più alta delle pareti sono ancora visibili certe aperture goffamente scavate, corrispondenti proprio a queste prime vie di penetrazione utilizzate dal Mirri nel 1775, il quale avrebbe fatto liberare, a partire da questa data, sedici stanze.
Mirri volle rendere noti gli esiti della campagna di scavo condotta nell’area dell’Esquilino, documentandone la ricchezza: i lavori e le indagini ivi operate si concretizzarono nel 1776, con la pubblicazione di una raccolta di incisioni tratte dalle pitture antiche che erano state riportate alla luce nel corso degli scavi, accompagnate da relative schede di commento introdotte da un saggio inedito. Così all’abate Giovanni Carletti, letterato, poligrafo, autore di poemetti e dotte dissertazioni, venne affidata l’esegesi delle tavole.
Volume di facile comprensione e di gradevole lettura, Le Antiche camere delle Terme di Tito e le loro pitture erano indirizzate ad un pubblico ben più vasto rispetto a quello degli specialisti.