Francesco Gandolfo, «All’ombra di Montecassino. La pittura a Fondi tra XI e XII secolo, Tivoli, Tored, 2018

Francesco Gandolfo, «All’ombra di Montecassino. La pittura a Fondi tra XI e XII secolo», Tivoli, Tored, 2018

di Fabio Mari

In questi ultimi anni si è assistito ad una nuova e vigorosa stagione di studi che ha contribuito a gettare nuova luce sul complesso – e per alcuni versi ancora enigmatico – panorama della pittura a Fondi nel Medioevo. L’apertura di questa nuova fase di ricerca è stata favorita da una serie di fondamentali ritrovamenti che, a partire dai primi anni del Duemila, ha permesso un nuovo approccio al patrimonio monumentale della cittadina laziale: esempio emblematico di questi nuovi apporti è la scoperta, tra il 2006 e il 2009, del vasto complesso di pitture dell’abbazia di San Magno.

Un primo bilancio delle indagini condotte in questi anni è stato offerto da un paio di convegni tenutisi nel 2012 e nel 2013: il primo, a cura di Alessandra Acconci, prendeva in analisi Fondi e la committenza Caetani nel Rinascimento; il secondo, curato da Manuela Gianandrea e Mario D’Onofrio, si è più specificamente occupato del Medioevo a Fondi, un periodo oggi preso nuovamente in considerazione da un volume di Francesco Gandolfo, che analizza in particolare la produzione pittorica della città tra XI e XII secolo.

Lo studio prende avvio proprio dai risultati maturati nel già citato convegno tenutosi nell’ottobre 2013. Le nuove acquisizioni critiche presentate in quell’occasione – poi confluite negli atti, pubblicati nel 2016 – costituiscono infatti le necessarie premesse del presente volume, improntato all’analisi di un arco temporale che abbraccia l’XI e il XII secolo.

Come spiega l’Autore, l’importanza di uno studio organico che coinvolga la produzione artistica di Fondi deriva dalla natura stessa del luogo: esso infatti deve alla sua posizione geografica una vitalità culturale che ha favorito la compresenza sul territorio di culture diverse, «creando i presupposti per una ricca e fruttuosa dialettica che, nel tempo, ha generato testimonianze di significativa valenza artistica».

La complessità delle direttrici culturali che convivono nella cittadina costituisce una prima difficoltà per lo studioso, costretto a muoversi in un panorama oggi privo del suo originario tessuto connettivo, che lascia soltanto affiorare – rievocando la felice espressione utilizzata da Wart Arslan a proposito delle croci pisane – episodici «relitti di un naufragio»[1].

Se si volesse ricercare il fil rougeche unisce le diverse testimonianze fondane – pittoriche e miniate – analizzate da Gandolfo nel suo studio, lo si ritroverebbe nel legame, mai reciso, con i fatti artistici di Montecassino. Quanto i contatti con il grande centro benedettino siano stati gravidi di conseguenze per la realtà fondana è messo in grande evidenza dal titolo stesso del volume che suggella l’impossibilità di comprendere il panorama artistico di Fondi senza un continuo rimando alle vicende culturali che animano il monastero laziale.

Il volume prende in considerazione documenti pittorici diversi per tipologia e tecnica, spaziando dal grande Crocifissoligneo oggi collocato al di sopra dell’altare della cattedrale di San Pietro – giuntoci fortemente mutilo a causa degli eventi bellici che, nel 1944, hanno colpito anche Fondi –, il complesso palinsesto pittorico della chiesa di San Magno e l’Exultet proveniente anch’esso dalla cattedrale di San Pietro.

Caso emblematico delle difficoltà sinora incontrate dagli studiosi nell’analisi della pittura fondana è proprio la monumentale croce dipinta: quest’ultima, resa nota da Garrison nel 1948, è stato oggetto di studi approfonditi nel corso degli ultimi trent’anni[2], pur rimanendo – citando Valentino Pace – «un enigmatico caso». Se numerosi rimangono i nodi da sciogliere riguardanti soprattutto la sua peculiare struttura o talune soluzioni iconografiche, sfuggente risulta anche essere l’inquadramento cronologico, oscillante tra il IX e il pieno XII secolo. Gandolfo, allontanandosi dalle ultime ipotesi formulate dalla Guiglia[3], colloca la datazione del manufatto ligneo al pieno XI secolo sulla base di suggestivi confronti stilistici con l’affresco raffigurante san Benedetto tra i santi Zosimo e Sebastiano nella chiesa romana di San Sebastiano al Palatino, già Santa Maria in Pallara: in entrambi i casi – secondo lo studioso – le pitture manifestano infatti la medesima tendenza grafica «largamente presente nella pittura romana alla metà dell’XI secolo»[4]. Il confronto con l’affresco della chiesa romana, e con l’icona della Vergine aghiosoritissadell’Aracoeli – ridipinta nel volto e nel braccio destro forse in date prossime alla metà dell’XI secolo – contribuisce non solo a indicare la metà del secolo XI come momento privilegiato per l’esecuzione della tavola fondana, ma favorisce altresì l’ipotesi di una sua esecuzione proprio in ambito romano.

I rapporti con Montecassino emergono in modo più organico nel palinsesto pittorico nell’abside medievale della chiesa di San Magno. I restauri eseguiti a partire dal 2006 hanno portato al rinvenimento di numerosi affreschi riconducibili ad almeno tre fasi cronologicamente distinte: lo strato più antico, da Giulia Bordi datato al IX secolo, è documentato solo da alcuni frammenti oggi staccati, provenienti dal circuito absidale. Qui rimangono invece in situ altri due strati di pitture: il primo, raffigurante animali divisi da un motivo ‘a scacchiera’ e databile all’XI secolo; il secondo, costituito da un velum che in buona parte nasconde lo strato precedente di cui si parlerà più approfonditamente in seguito.

Nel 2013 Giulia Bordi[5]proponeva di legare il primo strato di pitture alla data del 1072 rintracciabile nel Codex Diplomaticus Cajetanustesto dal quale si apprende che in quell’anno il console di Fondi Gerardo e sua moglie Labinea – minacciati dalle confische normanne – pongono la chiesa fondana sotto il controllo dell’abbazia di Montecassino, retta in quel momento dall’abate Desiderio. Gandolfo, basandosi sul confronto con il Cod. Casin. 132, propone di retrodatare l’esecuzione delle pitture slegandole dalla data del 1072: se l’ipotesi fosse corretta, gli affreschi dello zoccolo absidale diverrebbero i testimoni di un influsso della cultura cassinese ben prima della cessione dell’edificio all’abbazia: il Cod. Casin. 132 – un’illustrazione del De rerum naturisdi Rabano Mauro – viene tradizionalmente assegnato al tempo dell’abbaziato cassinese di Teobaldo (1022-1035), permettendo un agevole inserimento del secondo strato pittorico di San Magno ben dentro la prima metà dell’XI secolo. L’ipotesi, di indubbio fascino, anticiperebbe considerevolmente i contatti tra Fondi e Montecassino, dimostrando che i rimandi culturali di quest’ultima sembrano essere già presenti e fecondi nella cittadina laziale.

Diverso è il discorso per il secondo e più tardo strato di pitture che decora l’abside fondana – decorata secondo le ipotesi della Bordi da un’Ascensione a suo dire sulla base di minutissime tracce di colore – e il transetto che comprende un vasto ciclo con Storie di San Benedetto. Ad arricchire il ciclo benedettino vi è, nello zoccolo al disotto dei riquadri con le scene e nell’emiciclo absidale, una fascia decorativa con busti di santi inseriti in clipei. Verosimilmente eseguite in un periodo ormai successivo alla già ricordata notizia del 1072, per le pitture Gandolfo ripropone sostanzialmente per le pitture la datazione al terzo decennio del XII secolo, già proposta da Viscontini[6], la quale proponeva di legare gli affreschi alla notizia della liberazione nel 1123 del console di Fondi Leone e suo figlio Pietro – fatti prigionieri dal duca di Gaeta Riccardo di Carinola – da parte dell’abate di Montecassino Oderisio II. Se la definizione cronologica dello strato più tardo di pitture si allinea alle conclusioni già raggiunte dalla Viscontini, inedita appare invece la proposta di riconoscere qui in attività due mani diverse attive rispettivamente nella parete di fondo del braccio destro del transetto – soprattutto nella scena della Presentazione a Benedetto di Mauro e Placido– e nella decorazione delle pareti laterali. Il primo interprete appare infatti caratterizzato da modi più raffinati e pacati; per converso, il pittore responsabile della decorazione delle pareti lunghe del transetto si distingue per un ductuspiù rigido e lineare. Entrambe tuttavia sarebbero da ricondurre nell’alveo della cultura cassinese post-desideriana, educati sui prodotti di quel versante pittorico che traduceva in forme locali i modelli di «irruente bizantinismo» offerti dal cantiere di Sant’Angelo in Formis.

Dipendente dalla cultura cassinese è infine l’Exultetoggi alla Bibliothèque Nationale de France, eseguito originariamente proprio per la cattedrale di Fondi. A inserire il rotulonel contesto cassinese sono, secondo Gandolfo, i confronti con il Lezionario Vat. Lat. 1202, il Breviario di Oderisio – realizzato tra il 1099 e il 1105 – e l’Exultet cassinese della British Library di Londra.  L’Exultetparigino – come già rilevato dalla Orofino[7]– si rivela frutto del lavoro di due personalità distinte: il primo artefice lo si ritroverebbe infatti nei fogli 1 e 2, mentre un secondo autore interverrebbe nelle scene successive. Le differenze che distinguono i due autori sono evidenti se si mettono a confronto le due scene che illustrano (secondo una modalità non del tutto chiara agli studiosi) nell’Exulteti due momenti del Passaggio del Mar Rosso: la scena così come è dipinta dal secondo artefice si allontana da quella del primo interprete per una maggiore insistenza su alcuni dettagli che rivelano una “quotidianità pittoresca” assente dai modi del primo artefice. Le divergenze tra i due miniatori si fanno palmari quando si confrontino i diversi risultati spaziali ottenuti dal secondo pittore nella scena del Sacrificium vespertinumrispetto all’impaginazione spaziale certo più ingenua costruita dal primo nella scena del Fratres carissimi. La definizione cronologica di questo ciclo miniato, nel quale spesso compaiono raffigurati il vescovo Benedetto e il console Leone – verosimili committenti dell’Exultet– è circoscrivibile per Gandolfo a un periodo che oscilla tra il 1111, anno in cui Benedetto diviene vescovo di Fondi, e il 1117, quando Leone associa nel consolato suo figlio Pietro. Il 1117 diverrebbe così un importante termine ante-quem: nelle illustrazioni dell’ExultetLeone viene infatti presentato come unico console in carica; quest’ultimo non aveva evidentemente ancora affiancato – al momento dell’esecuzione del rotolo – suo figlio Pietro alla carica, rendendo dunque possibile ipotizzare una sua esecuzione prima del 1117.

 

 

Bibliografia

 

Arslan 1936 = W. Arslan, Su alcune Croci pisane, in «Rivista d’Arte», XVIII, 1936, pp. 217-244

Bordi2016 = G. Bordi, L’abside, in Le pitture del complesso di San Magno. Vicende di un cantiere medievale tra il conservato, il recuperato e il perduto.Fondi nel Medioevo, a cura di M. Gianandrea e M. D’Onofrio, Roma 2016, pp. 91-103

Gandolfo2018 = F. Gandolfo, All’ombra di Montecassino. La pittura a Fondi tra XI e XII secolo, Roma 2018

Guiglia  2016 = A. Guiglia, Il crocifisso dipinto della chiesa di San Pietro a Fondi, in Fondi nel Medioevo, a cura di M. Gianandrea e M. D’Onofrio, Roma 2016, pp. 145-163

Orofino  2016 = G. Orofino, Curvat Imperia. Iconografia del potere negli Exultet di Gaeta e di Fondi, in Fondi nel Medioevo, a cura di M. Gianandrea e M. D’Onofrio, Roma 2016, pp. 207-218

Pace1994 = V. Pace, La pittura medievale in Campania, in La pittura in Italia. L’Altomedioevo, a cura di C. Bertelli, Milano 1994, pp. 243-260

Ulianich  2001 = B. Ulianich, Il crocifisso di Fondi. Il più antico dipinto su tavola esistente in Italia?, in Fondi tra antichità e medioevo. Atti del convegno (Fondi 31 marzo – 1 aprile 2000), a cura di T. Piscicelli Carpino, Fondi 2001, pp. 251-306

Viscontini  2016 = M. Viscontini, Il transetto settentrionale, in Le pitture del complesso di San Magno. Vicende di un cantiere medievale tra il conservato, il recuperato e il perduto. Fondi nel Medioevo, a cura di M. Gianandrea e M. D’Onofrio, Roma 2016, pp. 105-112

 

[1] Arslan1936, p. 220.

[2] Pace1994, pp- 243-260; Ulianich2002, pp. 251-306; Guiglia2016, pp. 145-163.

[3] Guiglia2016, p. 163

[4] Gandolfo2018, p. 20

[5] Bordi2016, pp. 91-103

[6] Viscontini2016, pp. 105-112

[7] Orofino2016, pp. 207-218.